Rete Saharawi

Foto di Jean Lamore

Storie Saharawi Jean Lamore Mercoledì 30 settembre 2020

L’amico lontano (L’Intime Lointain) - Tratto da Endo Papers

La storia dell’attivista saharawi Naama Asfari raccontata da Jean Lamore, suo amico e autore del film “Building Oblivion”, un documentario immersivo nei Territori Liberati del Sahara Occidentale.

Il muro marocchino di 2720 km tra il Sahara Occidentale occupato e i Territori Liberati saharawi

(il presente articolo è stato pubblicato in Italia il 19 dicembre 2015 sulle pagine della rivista online doppiozero, su cui è possibile continuare a leggere la versione integrale seguendo il link a fondo testo. La riproduzione sul nostro sito è autorizzata per gentile concessione della redazione di doppiozero)

La storia di Naama Asfari sembra una fiaba al contrario, dove ad avere la meglio sul protagonista sono sempre crudeltà e ingiustizia. Noto attivista per la difesa dei diritti umani e giurista saharawi, nel 2010 Naama è stato condannato dal tribunale militare marocchino a trent’anni di carcere per aver organizzato una manifestazione pacifica per il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi nel Sahara Occidentale (ex Sahara spagnolo), territorio annesso militarmente al Marocco nel 1975 e da allora occupato dall’esercito marocchino. La vicenda di Naama Asfari rappresenta in maniera emblematica una delle battaglie più asimmetriche dei tempi odierni, la lotta del popolo saharawi per la rivendicazione del diritto all’autodeterminazione attraverso un referendum organizzato nel 1992 sotto l’egida delle Nazioni Unite. I negoziati sono stati costantemente ostacolati dalla monarchia marocchina, che controlla illegalmente il territorio in violazione dei principi del diritto internazionale sui territori non autonomi riconosciuti dalle Nazioni Unite.

La Francia si è sempre schierata a favore del Marocco, giustificando l’invasione, l’occupazione e il saccheggio delle terre saharawi e favorendo l’accettazione dello status quo da parte degli altri paesi europei. Inoltre, come membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Francia ha posto sistematicamente il veto a ogni proposta di indagine sulla situazione dei diritti umani nei territori occupati. Un’evidente contraddizione per la nazione che ha dato i natali alla Déclaration Universelle des Droits de l’Homme. Nel frattempo, questi territori sono diventati una nuova colonia africana. La temibile prospettiva di una ricolonizzazione del continente africano – messa in atto, con la complicità della Francia, attraverso l’invasione e l’occupazione marocchina del Sahara Occidentale, con l’intento di sfruttare illegalmente le risorse naturali del territorio su scala mondiale – è diventata una triste realtà. Ma la Francia non è l’unica ad avere responsabilità. L’intera comunità europea, la Russia, gli Stati Uniti e perfino l’Australia avallano l’occupazione illegittima e lo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara Occidentale da parte del Marocco, facendo affari con quest’ultimo e commerciando i beni sottratti illegalmente al territorio. L’Office Chérifien des Phosphate (OCP), l’ente statale del Regno del Marocco che sfrutta massicciamente i fosfati del Sahara Occidentale illegalmente occupato, ha donato a Hillary Clinton cinque milioni di dollari, divenendo il principale finanziatore della sua campagna presidenziale negli Stati Uniti. Il Marocco ha stipulato accordi illegali con le industrie ittiche di tutto il mondo per lo sfruttamento delle acque territoriali del Sahara Occidentale, depredate ogni giorno dalla pesca industriale, e ha siglato illegalmente contratti per l’avvio di prospezioni petrolifere, dando in concessione alcune zone dei territori occupati a compagnie petrolifere internazionali.

In qualità di co-fondatore del Comitato per il rispetto delle libertà e dei diritti umani nel Sahara Occidentale (CORELSO), con sede a Parigi, Naama si è recato assiduamente nei territori controllati dal Marocco per accompagnare delegazioni straniere interessate a conoscere la situazione dei saharawi. A causa delle sue attività in difesa dei diritti umani, Naama è diventato il bersaglio di attacchi sistematici da parte delle autorità marocchine. Negli ultimi sette anni, è stato arrestato sei volte con accuse del tutto arbitrarie, come il possesso di un portachiavi raffigurante la bandiera saharawi, che gli è costato una condanna a quattro mesi di prigione. Nell’aprile 2008 è stato nuovamente portato via dalla polizia marocchina, legato nudo a un albero per tre giorni, preso a randellate e bruciato con sigarette, per poi essere rilasciato senza alcuna spiegazione. La tortura è diventata parte integrante della sua vita. Nella prima settimana dei trent’anni di carcere che sta attualmente scontando è stato costretto a rimanere in ginocchio, con le mani legate dietro la schiena con fascette di plastica, senza poter mangiare né bere, e umiliato nelle sue naturali funzioni corporee. È stato poi bendato per 45 giorni. Per Naama è una questione di famiglia: quando aveva appena sei anni, entrambi i genitori sono stati deportati a causa della loro militanza per i diritti umani. Il padre è scomparso nei gulag segreti del Marocco per sedici anni e la madre ha avuto un aborto mentre veniva torturata dalle autorità marocchine.

Nel corso degli anni, ho incontrato Naama e altri attivisti saharawi in posti improbabili come Bir Lahlou, set del film Mad Max situato nel mezzo di un “deserto nel deserto”, con temperature record di 57 gradi. Percorrendo sentieri fantasma noti soltanto ai saharawi, ci sedevamo sotto le chiazze d’ombra di qualche raro cespuglio spinoso, circondati da distese desertiche interamente lastricate di fossili marini dell’antica Gondwana. In vista di conferenze e incontri politici, discutevamo di geopolitica, diritto internazionale e della loro applicazione al Sahara Occidentale, tra meraviglie naturali come le formiche predatrici dalla superficie cromata, che riflettevano il calore infuocato del deserto e correvano sulla sabbia incandescente come una colata di perle di mercurio, dirigendosi temerarie a ispezionare il fuoco dove preparavamo il tè. Sopra di noi pendeva una fitta schiera di pezzi di carne di cammello dall’intenso color porpora, messi a essiccare sulle spine di un’acacia. Era questo il nostro ufficio. Altre volte ci incontravamo nelle periferie di Parigi, Madrid o Roma, e insieme lavoravamo a questioni di varia natura, come lo sfruttamento delle risorse naturali saharawi a causa dei contratti illegalmente stipulati dal Marocco con la comunità internazionale, o alla preparazione di pubblicazioni, interviste e dibattiti. Nel 2007 Naama ha prestato il suo prezioso contributo al mio film Building Oblivion (“La costruzione dell’oblio”), centrato sul grande muro della repressione costruito dal Marocco e sulla violenta oppressione del popolo saharawi da parte delle autorità marocchine. Ho visto Naama per l’ultima volta ad Algeri, qualche giorno prima che tornasse nei territori occupati per allestire un accampamento per 20.000 saharawi che protestavano pacificamente contro la repressione marocchina. Il campo di Gdeim Izik fu poi violentemente attaccato e distrutto dalle forze marocchine l’8 novembre 2010, un evento che Ken Loach, Noam Chomsky e io stesso consideriamo come il vero punto di partenza della Primavera Araba del 2011.

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